Apr 2, 2020 - libri, Una Storia    Commenti disabilitati su Feuilletons di una tipica giornata a New York

Feuilletons di una tipica giornata a New York

Esergo: I have a drink!

Ho preferito scendere usando il vecchio montacarichi. Anche se è più lento e meno sicuro, mi ricorda la città degli anni ’20. Nell’atrio saluto con un cenno, il ragazzo alla reception che ama il calcio e tifa Milan. Sulla ventisettesima strada c’è un piccolo hotel pieno di storia e che costa poco, tipo trenta dollari a notte, c’è anche un palco per gli artisti che vogliono raccontarsi ma non c’è mai nessuno. Il giovedì sera si crea una strana atmosfera, c’è sempre qualcuno che suona ma nessuno che ascolta. Solitamente il pubblico è formato da due persone: il gestore e il manager. Quest’ultimo un ciccione con i baffoni, la camicia bianca e la panza di fuori. Ovvio che se sfondi a New York diventi famoso in tutto il Mondo. Io ho solo visto pochi minuti dell’esibizione perché la sera, quando torno in camera sono sconvolta e stanca dalla giornata e sento ancora l’effetto del fuso orario che non mi consente di resistere oltre le ventuno ora locale. Torno che ho già cenato, faccio una doccia e collasso a letto. La mia camera è al quarto piano, c’è solo una finestra e la vista è assorbita dai palazzoni alti e dai grattacieli. Se splende il sole è completamente oscurato e non si distinguono i momenti della giornata, se è l’alba o il tramonto, se è giorno o notte; è l’unica nota dolente.

da Ellis Island

da Ellis Island

Prima di uscire, nell’atrio vedo una coppia di turisti in difficoltà con il check-in. Una coppia giovane, biondi, tutti e due con un cappellino blu lucente in testa. Vestono la t-shirt, dei pantaloncini e ci sono due bambini, un maschio e una femmina, attaccati con la manina ai loro vestiti. Sembra che l’uomo che riceve i clienti non riesca a trovare la prenotazione e comunque l’albergo è sold-out per uno dei soliti eventi in città. A Time Square c’è un enorme palco allestito ma non mi sono informata chi si esibisce e chi sia il cantante. In questo hotel le camere sono tutte riservate a una grossa orchestra e stanno scaricando ora i bagagli e nella hall si sta creando un grosso assembramento. Il disguido capitato alle due persone in difficoltà mi ha creato ansia. Nel caos, faccio finta di osservare la bacheca dei ricordi museali, vecchie valige impolverate, un estintore antico e qualche foto di famiglia immigrata con lo sfondo virato seppia dal trascorre del tempo. Fingo di osservare ma dal riflesso spio che succede, mi immedesimo nella loro situazione e mi prende una forte apprensione. Sono molto concentrata e l’inquietudine aumenta quando capisco che alle due persone cresce il nervosismo, alla bambina cade la bambola e la mamma la strattona in maniera sicura mentre la piccola tenta di raccoglierla. Arriva un collega dell’addetto alla reception e trovano una soluzione. Torna il sorriso sui visi delle persone e anch’io respiro nuovamente senza nessun tormento.

Finalmente esco e ho la stessa sensazione di un animale che esce dalla propria tana dopo il letargo

Liberty Island

New York

. Guardo in alto e non riesco neanche a vedere l’ultimo piano del grattacielo a fronte strada. È presto, prestissimo. Sento l’aria che frigge leggermente sulla faccia anche se non è fredda. Sembra che l’aria sia diversa da dove abito, anche se nelle mie zone forse è molto più pulita. M’immagino che sia l’effetto delle correnti atlantiche. Penso a quali effetti e illusione può creare la mente. Sono stata fortunata a essere stata trasferita, anche se per poco tempo a New York. Essere pagata per stare nella Grande Mela è un po’ come vivere una favola. Lungo le strade nella città sembra di essere in un cast. Mi pare di essere in televisione ma dalla parte opposta al divano. Quell’America vista in tutti quelle immagini di eroi, di amori, di gesti, di azioni, di storie, di architettura, di passione e ora ne sento anche l’odore; trovo piacevole perfino l’esalazione acre della metropolitana che esce sulla Broadway. Quel lezzo penetrante pungente che svanisce solo passeggiando nel mercatino dei fiori sulla Union Square con il Flat Iron che osserva i passanti da

Riflessioni

Riflessioni

più di un secolo come un antico guardiano, che sembra vegliare anche sul vecchio uomo che da quando è in pensione si siede sulla stessa panchina, un’ora ogni giorno per sfamare gli scoiattoli. Mi hanno detto che è una scusa, lui ha lavorato tutta la sua vita sul “Ferro da Stiro” e non riesce più a farne sa meno. Anche Mario ha una sua storia, quando passa per Union Square saluta l’uomo degli scoiattoli. Mario è di origini padovane, si è trasferito a New York negli anni sessanta con una sola valigia per gli attrezzi, a far il mestiere dell’idraulico ha comprato trentasei appartamenti che gestisce a reddito. 

Cammino per la ventisettesima strada e in fondo c’è la Fashion School. Sorrido pensando che ci sono dei ragazzi iscritti a un corso di lingua italiana e che sognano di volare oltre Oceano e venire a vivere in Italia. Appena torno a Roma ho intenzione di andare subito in San Lorenzo, è il posto che mi manca di più, gli affetti, l’università. Ora mi godo la Metropoli a stelle e strisce e pare che se la godano i tre giovani stilisti che stanno scaricando da un furgone la propria collezione, nei loro occhi brillano i sogni di gioventù e successo. Entro nel solito bar e come ogni locale un viso orientale mi prepara la colazione e con il mio lungo caffè mi siedo al tavolo, guardo fuori e ancora vivo una realtà cinematografica, spiando la vita oltre vetro, attendo l’ora per andare al lavoro.

#NicolaRizzoli

Feuilletons di una tipica giornata a New Yorkultima modifica: 2020-04-02T18:44:28+02:00da nickrizzoli
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