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Mag 18, 2020 - anni80, BFC, Bologna, Calcio, Serie A    Commenti disabilitati su Resilienza

Resilienza

resilienza

Era la metà degli anni ’80 e il calcio era uno sport diverso dal gioco dei nostri giorni. Giocavo a livello giovanile in una squadra di quartiere, tra quelle associazioni sportive nate tra i giovani che frequentavano una parrocchia, quelli che abitavano in zona oppure che venivano nella stessa scuola. Eravamo iscritti a un torneo under 15, in tredici giocatori, per cui non c’era la possibilità di un secondo cambio, quindi “palla lunga e pedalare”. In società giocava anche un’altra squadra, quella formata dai “bravi” con iscrizione al campionato allievi. Noi eravamo gli scartini.

Ci prese a mano un allenatore “Cecco” che ricordo con grande rispetto e ammirazione, era l’unico uomo che teneva il figlio in panchina e lo faceva giocare solo quando rendeva. Ci ha insegnato tanto sul mondo del calcio. Iniziato il campionato in sordina, partita dopo partita siamo diventati una squadra forte e temuta. Certo il livello era il Casalecchio, il Real Saragozza, il Villone, tutte squadre della periferia di Bologna e non la serie cadetta. A quei tempi in difesa c’era lo stopper e il libero. Io giocavo centrale ma spesso ero impiegato anche in fascia, essendoci carenza di atleti, durante i due gironi, cercavamo di farci trovare tutti a disposizione.

La prima squadra non ottenne dei grandi risultati e verso il termine del campionato avevamo ereditato alcuni loro giocatori. L’allenatore li tenne in panchina perché tramite quei tredici giovani atleti arrivammo primi a pari punti, con le nostre forze. Non era certo nostra intenzione condividere la vittoria che per meriti era solo nostra.

Il calcio è un gioco di squadra, per me è quasi impossibile descrivere cosa scatta nella testa delle persone quando decidono di vincere e che qualsiasi ostacolo sia superabile; che esista una barriera tanto alta che non si possa abbattere. Questa è la mentalità vincente, ma si crea solo in determinate condizioni che è necessario ricreare in ogni spogliatoio e mantenerle vive, sia a livello collettivo che individuale. Nel ciclo di un campionato è naturale che ci siano dei cali fisici e mentali, periodi difficili e pieni di difficoltà ed è necessario superarli. Occorre trovare la capacità di affrontarle, superarle, di resistere a questi traumi. In psicologia la parola che definisce questa attitudine a sopperire alle criticità è detta resilienza.

Il termine è stato inflazionato in questo periodo, l’ho sentito per la prima volta, pronunciato da Mister Mihajlovic quando prese in mano il Bologna, dopo il ciclo di Inzaghi che per certi versi fu disastroso. L’allenatore serbo iniziò ad allenare la squadra felsinea dopo la sconfitta contro il Frosinone a fine gennaio 2019. Salva i rossoblu, portandoli al decimo posto in classifica, centrando un record. Il calcio moderno ha tantissime componenti: Formazione, tattica, allenamenti e un pizzico di fortuna infatti all’esordio il 3 febbraio riesce a vincere 1-0 contro l’Inter al Meazza. Soprattutto il cambio di mentalità: la resilienza.

Questa capacità si allena, si attiva e si disattiva. Non è solo applicabile in ambito sportivo ma è anche la facoltà di organizzarsi dopo traumi subiti nella vita, come una separazione, un lutto, il licenziamento o gravi problematiche che creano squilibri. È complicato adattarsi in modo positivo facendo fronte a eventi tragici, serve un percorso lungo e difficile, meglio affidarsi a un professionista del settore. Insomma la facilità con cui adottiamo questo termine sia poi più complicato che metterlo in pratica.

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Mag 15, 2020 - anni80, cultura, fumetti, Kyoko Mizuki, Simpson, supereroi    Commenti disabilitati su Quasi come Homer

Quasi come Homer

Il mio amico Homer

Il mio amico Homer

Ho indossato una polo bianca e un paio di jeans, mi sono specchiato, sono rimasto a fissare la mia immagine per qualche minuto. Il mio stile di vita con passare degli anni, mi ha trasformato in Homer J Simpson. Matthew Abram Groening detto “Matt” ha profetizzato il mio stile di vita che sto conducendo, inserendo tantissime analogie negli episodi della famiglia Simpson oppure viceversa. Ho iniziato tardi a seguire il cartoon che ha lasciato un segno importante tra tanti miei coetanei, che ancora resiste ed è molto seguito.

Vent’anni fa non avrei mai pensato di trasfigurare l’immagine di Homer nel mio specchio, come se fossi posseduto da un fantasma. Negli anni ’90 avevo un fisico quasi atletico, non ero ancora un budino gelatinoso. Non ero estremamente goloso di ogni lecornia che potesse tendere all’infarto. Matt Groening mi trasformato nel suo personaggio, divinizzando il mio destino. Non sono padre di tre figli, mia moglie non ha i capelli blu, ma ho bevuto birra Duff prodotta in Belgio, guido una macchina scassata, i miei lineamenti non sono simili a quelli di Homer. Mi sento simile al personaggio nel carattere. I motivi che mi accomunano al personaggio dei cartoni sono:

La mia inedia per cui mi trovo spesso trascinato sul divano oppure su un’amaca e raramente mi viene voglia di muovermi o fare sport.
La golosità che mi porta a sentire l’odore di un hamburger anche a qualche centinaia di metri di distanza, e mentre lo sto scrivendo, mi aumenta la salivazione.
Sono vizioso, intemperante, ingordo, cinico e sadico con il vicino di casa. Non c’è cattiveria nel mio modo di essere e non sono l’unità di misura delle virtù umane. Quando era bambino ero attratto dai Robot dagli eroi, avrei dovuto crescere e tendere ai supereroi. Crescere con SpiderMan, SuperMan e BatMan eppoi diventare Homer è veramente strano.

 

E’ un pò come crescere mangiando tagliatelle e cotolette e trovarsi nel piatto Hamburger con maionese e ketchup oppure falafel e kebab, senza togliere nulla alla gastronomia araba o americana di cui ne vado ghiotto, non sono la stessa cosa della pasta al ragù. La golosità mi ha trasformato in un Simpson.

I ragazzi della generazione precedente alla mia avevano tutto chiaro: se una persona portava gli anfibi e il chiodo era di destra, quando indossava l’eskimo e le clark, il suo pensiero era di sinistra. Le persone s’identificavano con quello che vestivano, ascoltavano e i locali che frequentati. I ragazzi ballavano rock oppure disco-pop, non si ascoltavano generi diversi, lo stile nel vestire rispecchiava la propria cultura per cui corrispondeva anche una determinata scelta musicale. I miei coetanei sono stati gli ultimi a scegliere un proprio stile. Le generazioni successive hanno globalizzato le culture, in un enorme guazzabuglio senza una propria individualità. Chi riesce a distinguere dalla massa arriva al successo, ma è sempre più difficile. Una volta sarebbe stata una bella gara tra i cartoon americani di Groening o Disney e i Manga di Gō Nagai e Kyoko Mizuki.


La terza rivoluzione industriale ci ha globalizzato. La cultura è diventata comoda, a portata di un click. Quindi i ragazzi del nuovo secolo hanno avuto tutto ciò che è possibile fornire, come maiali all’ingrasso. La risultante è che non esiste più il rockettaro e il fighetto (negli anni 80 Zanarino o Paninaro) che ascolta disco-music. I ragazzi sono influenzati dai genitori, ascoltano tutto ciò che capita : “Ricchi e Poveri” “Pupo” “Umberto Tozzi” “AC-DC” “Iron Maiden” “Sarà perché ti amo!” “Back in Black”. Passano da un genere all’alltro con una facilità pazzesca e disarmante. Anche riguardo il vestire è tutto stato miscelato, non capisci più se uno è un fighetto o un figlio dei fiori spesso lo sono entrambi. Ormai ci siamo nerdizzati a comprare roba tramite internet, a praticare giochi di ruolo virtuali e con un futuro da Homer.

Amo la cultura americana. Il viaggio che mi ha dato più piacere è stato nel 2009 e sono atterrato a New York. Ho guardato per anni documentari sugli Stati Uniti. Sono stato “segato” più volte in inglese e l’ho praticato per dieci anni senza assimilare una parola. Almeno credevo che fosse così. Poi una volta nella Grande Mela, quasi fossi posseduto da un fantasma anglosassone, ho parlato correttamente la lingua per tutto il periodo di vacanza. Tornato in Italia, è occorso del tempo per abituarmi nuovamente alla lingua italiana.

Homer rispetta perfettamente lo stile americano ed essendo molto attratto dalla cultura oltreoceano probabilmente mi ha influenzato. Ho divorato i telefilm come Beverly Hills 90210 e Dawson’s Creek e hanno lasciato un grosso segno nella mia vita. I miei “D’OH” sono dovuti alla pigrizia, alla mia semplicità, qualche volta all’ira che neanch’io ho il pudore di tenere celata, alla mia repulsione al lavoro, e forse sono anche un po’ stupido come Homer. In fondo come l’intelligenza anche la stupidità si dimostra a sprazzi.

Gli studi porteranno i medici a classificare questi disturbi come nuova patologia che chiameranno Homerpatia. In realtà ho molto rispetto per il personaggio dei Simpson e ricordo con grande affetto il doppiatore ormai scomparso, che gli ha dato voce in Italia: Tonino Accolla.

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Mag 6, 2020 - anni 90, anni80, cultura, musica, Recensioni e Opinioni, Riflessione Fisiologica, Spettacolo    Commenti disabilitati su MANU CHAO ME GUSTAS TU

MANU CHAO ME GUSTAS TU

megustaÈ il 1988 e come tanti giovani, frequentoavo le discoteche, da qualche anno la musica programmata dai dj sta diventando sempre meno melodica e con scarse variazioni ritmiche. I temi dance mantengono dei loop a 100 di bpm anche per per quattro, cinque minuti. I gusti musicali dei ragazzi stanno cambiando per l’ennesima volta. Nei club il genere house sta segmentando i target, per le città nascono circoli con selezioni che tentano per l’ennesima volta di diversificare il mood asfissiante della musica commerciale.
Sulla scena internazionale si afferma un ciclone culturale: Mano Negra. Ce ne accorgiamo perché ovunque si balla un singolo che spacca veramente “King Kong Five” che inizia con un ritmo beat di batteria cassa rullante e piatti, suoni autentici non sintetici. Il canto è incalzante sullo scandire di un arrangiamento ritmico, il testo appoggia fresco e cadenzato: “Now listen to the beat The beat of the song song Buzzing in my head head like a bum dumb”. Manu Chao leader del gruppo è una forza sul palco, innovativo e travolgente. La canzone ha permesso al pubblico di ballare e conoscere altri generi, esportando fuori dai centri sociali il genere ska e nelle discoteche anche fra le più fighette, si balla perché terminata la traccia “King Kong Five” c’è un brano che lega perfettamente e molti lo lasciano suonare. Patchanka e Puta’s Fever sono i primi due lavori del gruppo e diventa un fenomeno internazionale.
Manu Chao è nato in Francia ma di origini spagnole, anche da solista ottiene sempre grandi successi, i suoi progetti hanno influenze artistiche da tutto il Mondo, i testi delle canzoni portano frasi in diverse lingue. I brani sono contaminati da country, blues, folk, rock, punk, ska, reggae, flamenco e salsa, questo mix viene definito Patchanka, imitato e arrangiato da tantissimi gruppi e in molte salse negli anni 90. La musica di Manu Chao unisce e diventa simbolo di anticonformismo, i brani raccontano l’amore e la condivisione, e nei testi si capisce che è sensibile al tema dell’imigrazione e della povertà nel mondo, viaggia molto in America Latina e in Africa. La sua posizione no-global e la partecipazione al concerto del Genova Social Forum, organizzato in contrasto con la riunione politica del G8 nel 2001, ricordato per gli scontri di Piazza Alimonda, lo elegge a colonna sonora del movimento.
Ogni progetto di Manu Chao è un mondo da scoprire, con influenze di musicisti di diverse etnia, razza e colore. Un genere che rappresenta tutto quello che c’è di bello in questo Mondo. Non può mancare nel 2010 a Playing for Change un mega progetto multimediale bellissimo che porta in scena musicisti di strada di ogni parte del pianeta. Manu Chao è una continua rivelazione ed bellissimo suonare le sue opere e tra un Clandestino e un ukulele, una chitarra flamenca e qualche congas, in una Patchanka: Me gustas tu!

 

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Apr 26, 2020 - anni 90, anni80, Baggio, BFC, Bologna, Calcio    Commenti disabilitati su I NUMERI DELLA SERIE A: LO SCUDETTO

I NUMERI DELLA SERIE A: LO SCUDETTO

numeriIl calcio moderno nasce in Inghilterra nella seconda metà dell’800, in un pub di Londra il Freemasons’ Tavern Great Queen Street. A incontrarsi sono i delegati di undici squadre, fondano la Football Association e si accordano sul primo regolamento ufficiale la data riportata è il 26 ottobre 1863. Viene distinto dal rugby in cui si vuole mantenere sia l’uso dei piedi che delle mani. Dai regolamenti di allora si evince che il calcio conserva ancora le caratteristiche di gioco molto spigoloso, infatti vengono tollerati calci e sgambetti ai possessori di palla. In Inghilterra lo sport si espande a macchia d’olio, viene praticato dagli studenti universitari. In Italia l’organizzazione del primo campionato risale al 1898. I primi tre campionati li vince il Genoa, ma a parteciparvi sono solo quattro squadre di Torino poi di Milano.

La Juventus ha vinto trentacinque titoli ufficiali, è ormai nota la revoca dello scudetto 2004-2005 dovuta allo scandalo “Calciopoli” del 2006 in cui si sono state coinvolte diverse squadre del campionato italiano. A eguagliare questo numero sono la somma delle vittorie delle due milanesi, che risultano essere diciotto a testa. L’Inter è l’unico club che non ha mai disputato la serie cadetta e come il Sassuolo non sono mai retrocessi. Il record per le vittorie consecutive è dei bianconeri che dal 2012 vincono il tricolore ogni anno. Il Genoa ha vinto nove scudetti, sei edizioni delle prime sette, in seguito se ne aggiudica altri tre.

Il Torino e il Bologna hanno entrambi vinto sette scudetti. Il torneo 1926-27 è stato oggetto del primo scandalo legato al calcio in quanto alcuni campioni hanno fatto in modo di perdere le partite per far vincere il Torino per ovvi motivi di denaro. Il Bologna anche se si classifica al secondo posto, si decide che il titolo non viene assegnato in quanto il torneo risulta falsato, ancora oggi dopo quasi un secolo è un tema dibattuto. A Bologna il 29 maggio 1927 è stato inaugurato il Litorale. Dal 1983 la struttura sportiva porta il nome di Renato Dall’Ara, il presidente morto il 3 giugno 1964, tre giorni prima la conquista dello scudetto della sua squadra. Infatti il Bologna il 7 giugno 1964 vincendo lo spareggio contro l’Inter per 2-0 si aggiudica il titolo.

Il Campionato del Bologna 1963-64 rappresenta il più alto ricordo tra i tifosi nati intorno agli anni cinquanta, che rammentano la formazione a memoria: Negri in porta Furlanis, Pavinato, Janich, Tumburus, Fogli, Bulgarelli, Perani, il tedesco Haller, il danese Nielsen, Pascutti; l’allenatore è Bernardini. Le immagini di quei momenti sono fissate nelle loro menti, diventano un’ancora per tornare indietro nel tempo, magari quando allo stadio ci andavano accompagnati dal padre. Il commento ricorrente è legato alla speranza di poter tornare a rivere quella gioia di allora che sembra essere più concreta dopo la presidenza Joey Saputo.

Anche la Pro-Vercelli vince sette scudetti e l’ultimo l’ottiene negli anni ’20. Il Casale vince nel 1914 e la Novese nel 1922. Nell’era moderna la classifica vede la Roma con tre; Napoli, Lazio e Fiorentina con due e con un titolo vinto, troviamo:

  • Il Cagliari di Gigi Riva vince il trofeo 1969-70 lasciandosi alle spalle Inter, Juventus e Milan, il Bologna si classifica decimo a pari punti con la Roma.
  • Il Verona allenato da Osvaldo Bagnoli compie un miracolo e si aggiudica il campionato 1984-85 Garella, Ferroni Volpati, Tricella, Fontolan, Briegel, Marangon, Fanna, Galderisi, Di Gennaro, Elkjær. Il Napoli acquista Maradona ma si classidica ottavo. La Juventus di Rossi, Boniek e Platinì giunge al sesto posto ed è concentrata sulla Coppa dei Campioni che arriva in finale contro il Liverpool. Purtroppo rimangono vividi in memoria i tristi eventi che hanno avuto luogo allo stadio di Bruxelles il 29 maggio 1985. Il Bologna arriva nono nella serie cadetta ma il 28 agosto 1985 riesce a battere il Verone Campione d’Italia nel Girone di qualificazione per la Coppa Italia ma non passa il turno.

 

La Sampdoria l’unico titolo lo vince nella stagione 1990-91. L’allenatore è il grandissimo Vujadin Boškov; la rosa è fenomenale: Pagliuca, Mannini, Invernizzi, Pari, Vierchowod, Pellegrini, Cerezo, Lombardo, Dossena, Vialli, Mancini. La Samp è prima davanti a Milan, Inter e Genoa. Il Parma di Nevio Scala è sesto. La Juventus è settima davanti a Napoli Roma Atalanta e Lazio. Il Bologna retrocede per la seconda e con la presidenza di Corioni e nel 1993 decretano il fallimento del club. Nel 1993 Giuseppe Gazzoni Frascara con alcuni imprenditori felsinei rilevano la società e fondano il Bologna Football Club 1909 ridando lustro alla squadra, portando in città giocatori del livello di Beppe Signori e Roberto Baggio.

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numeri1

Apr 21, 2020 - anni80, Calcio, Italia Campioni del Mondo    Commenti disabilitati su Cronaca 11 Luglio 1982

Cronaca 11 Luglio 1982

A Numana c’è una lunghissima scalinata che collega una piazza a Sirolo, il paese limitrofo.
É la sera del 11 Luglio 1982 c’è una folla immensa a esultare, io sono un “cinno” di undici anni. La mia famiglia ha un cane che salta e abbaia, è molto impressionato dal caos, dalle urla e dagli schiamazzi. Al termine della partita Italia-Germania Ovest, il telecronista Nando Martellini ha gridato per tre volte «campioni del mondo». È l’anno della trasfigurazionpallone82e in felicità di Tardelli dopo il secondo gol degli azzurri al minuto 69. Il capocannoniere del Mundial, Paolo Rossi ha già segnato tre gol al Brasile e due alla Polonia di Boniek in semifinale. Ieri mattina, in spiaggia ho sentito due ragazze che parlavano sotto l’ombrellone e proclamavano Antonio Cabrini il più sano del torneo. Il primo girone l’abbiamo passato quasi per miracolo, il secondo invece facendo un miracolo. Poi passiamo anche la semifinale ed ecco quella indimenticabile serata: 11 Luglio 1982
Allo Stadio Santiago Bernabéu di Madrid ci sono 40.000 italiani ad assistere, l’arbitro è il brasiliano Coelho. In tribuna ci sono il Re di Spagna e il Presidente della Repubblica Sandro Pertini. a Marini rimasto in panchina con Bordon, Dossena Causio. Altobelli sostituirà Graziani pochi minuti dopo l’inizio per infortunio. La Germania Ovest di Karl-Heinz Rummenigge, Briegel, Littbarski e Stielike è un avversario molto spigoloso e temuto, rivale storico degli azzurri. Poi un sospiro profondo per tutti i tifosi quando al 25′ Briegel, con i suoi tipici calzettoni abbassati, colpisce duramente Conti in area, l’arbitro sancisce la massima punizione ma Cabrini sbaglia il rigore. Ancora tra i ricordi, i tantissimi falli su Oriali ed è proprio da una punizione battuta in fretta da Tardelli che apre a destra per Gentile che crossa, palla sfiorata da Altobelli e Rossi al 58′ segna il primo gol. Il raddoppio di Tardelli al ’24 del secondo tempo, prima se la aggiusta col destro poi tira con il mancino, su passaggio di Scirea sempre dalla destra. 1982Al ’81 il contropiede di Conti che corre per oltre metà campo, passaggio ad Altobelli che dribbla il portiere Shumacher e segna il tre a zero. Due minuti dopo il gol della bandiera della Germania con Breitner su passaggio da punizione, ma il tempo è ormai scaduto. Il recupero è inesistente visto che il ritmo di gioco è sempre altissimo con pochissime soste, non si perde certo tempo. L’esultanza del nostro presidente che passerà alla storia poi la premiazione e la consegna del pregiatissimo torneo, il giro di campo, la grande festa e il tripudio dei giocatori.
Rispetto ai tempi moderni il gioco è veloce, si corre di più e le entrate sono molto dure. I giocatori non occupano le zone ma sono molto più attenti al proprio ruolo e alle marcature, si giocano molti palloni in profondità. Un gioco maschio, spigoloso e veloce, con pochissime soste e perdite di tempo, anche da parte dei portieri.

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